Il settanta percento di tutti i vestiti realizzati oggi sono filati dai fanghi residui della raffinazione del petrolio greggio. Quel fango ha un nome: poliestere.
C’è una voce sottile che si insinua ogni volta che apriamo l’armadio. Una domanda che si nasconde dietro ogni cucitura, ogni tessuto che scivola tra le dita. Perché i nostri vestiti sembrano fatti per disintegrarsi? La risposta è tanto brutale quanto inaspettata: il 70% di tutti i vestiti prodotti oggi deriva dai fanghi residui della raffinazione del petrolio greggio. Quella melma ha un nome: poliestere.
Ho vissuto questa verità sulla mia pelle qualche settimana fa. Avevo comprato un maglione di un marchio noto per il suo stile “basic senza tempo”. Uno di quei brand che ti fanno pagare 150 euro per una T-shirt e ti raccontano che lo fanno per la sostenibilità. Il maglione sembrava una nuvola al tatto, una promessa di comfort eterno. Ma dopo due lavaggi, quella promessa si è frantumata. Pallini, cuciture spente, tessuto che sembrava stanco di esistere. Ora giace nell’armadio, un muto promemoria del mio errore.
Poliestere. Un declino che ci appartiene
La verità è che la qualità dell’abbigliamento è in declino da anni. Non è solo il mio maglione, è ovunque. Jeans che si consumano più in fretta di una relazione nata su un’app. Camicie che si disfano prima ancora di aver sorseggiato un caffè al bar. Persino i marchi di lusso, un tempo sinonimo di qualità, hanno iniziato a scendere a compromessi. Il cashmere viene diluito con lana sottile come un sussurro, venduto a prezzi che richiedono un piccolo mutuo.
Ma perché tutto questo? Perché i grandi marchi hanno stretto un patto con l’industria petrolifera, trasformando i nostri guardaroba in un museo di plastica travestita. I tessuti sintetici, come il poliestere, hanno preso il posto dei materiali naturali che ci hanno accompagnato per secoli. E il prezzo di questo cambiamento non è solo ambientale, ma anche personale.
Tessuti che raccontano una storia
Quello che indossiamo non è solo moda. È salute, è energia, è benessere. I tessuti naturali come lino, lana, cashmere, canapa e cotone biologico portano con sé una frequenza che sostiene il nostro corpo. Il lino, ad esempio, è stato storicamente usato negli ospedali per fasciare le ferite grazie alla sua capacità di promuovere la guarigione. Eppure, oggi ci troviamo circondati da materiali a bassa frequenza: poliestere, nylon, viscosa. Tessuti che non solo non ci aiutano, ma possono addirittura interferire con il nostro equilibrio energetico, disturbando il sonno, causando irritazioni, interrompendo la nostra connessione con il mondo naturale.
Pensaci: la maggior parte della biancheria da letto, dei pigiami, è realizzata con queste plastiche. Materie che accumulano cariche elettrostatiche, che non respirano, che ci isolano anziché proteggerci.
Riscoprire il valore
La prossima volta che tocchi un capo, chiediti: quale storia racconta? È una storia di artigianato, di materiali che nutrono il corpo e l’anima? O è il prodotto di un sistema che ha scambiato il valore per la velocità? Non si tratta solo di moda. Si tratta di ritrovare un senso di appartenenza, di rispetto per il nostro corpo e per il pianeta che chiamiamo casa.
I vestiti non sono solo un involucro. Sono una dichiarazione, un riflesso del nostro mondo interiore. E forse, scegliendo meglio ciò che indossiamo, possiamo cominciare a guarire il nostro rapporto con noi stessi e con ciò che ci circonda.